News, Del Piero a 40 anni si racconta

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Alessandro Del Piero (getty images)
Alessandro Del Piero (getty images)

NEWS DEL PIERO – Alessandro Del Piero compie 40 anni ed il giornalista Federico Buffa è andato a trovarlo in India per un’intervista speciale targata Sky. Eccovi raccontata la chiacchierata tra i due:

Alessandro, vorrei dirti benvenuto a Delhi ma tu sei venuto qui molto prima di me.

Grazie!

Ho letto di recente una tua intervista, tra l’altro molto bella devo dire, su “Undici”, dove si rimedita un po’ la tua avventura nel calcio, e prima di farti la domanda numero uno volevo cercare di recuperare il manifesto comportamentale della tua vita, ovvero sia: “Attenzione a pensare che i timidi siano dei deboli”.  Da ex timido, o timido pentito qualsiasi cosa tu sia adesso, cosa ne pensi?

“Penso che non sono né un ex timido, né un ex pentito timido o pentito timido. E’ la mia vita. Ho iniziato da piccolo ad essere così, continuo ad esserlo per molti aspetti, il calcio prima di tutto mi ha fatto maturare, secondo me, ma non solo quello. Di certo mi ha messo di fronte delle prove che dovevo superare. Tutto nasce quando ero piccolino, insomma, è lì che sì forma tutto. Il carattere che ci portiamo dietro da grandi, penso che più o meno ce l’abbiamo già da piccoli.”

Cioè vuoi dire che il piccolo Ale era timido finché non si cominciava a giocare, poi diceva: “Adesso venite sul mio campo, adesso vi faccio vedere che il timido è il vostro papà…”

“Beh, sì, questa timidezza si poteva assimilare al fatto di essere il più piccolo. Sono sempre stato il più piccolo della compagnia, sono sempre stato il più magro, sono sempre stato differente in quel senso, e quindi la timidezza cresceva di più, però c’era questa consapevolezza che, se c’era da giocare al pallone, ecco… “arriva il timido”. (sorride, ndr)”

Passiamo alle domande, diciamo così, più tradizionali. Vorrei iniziare da un discorso che credo ti stia particolarmente a cuore, ed è l’argomento della fedeltà. Premesso che credo che tu sia ancora in black out di parole per descrivere quel pomeriggio del mese di maggio del 2012, non mi sorprenderei non arrivassero proprio mai.

“E’ inspiegabile. Ogni volta che mi viene posta questa domanda cerco di dare delle risposte diverse, di trovare parole nuove o concetti originali, poi ritorno sempre sugli stessi argomenti. In definitiva quello che disorienta è la spontaneità di quello che è nato in quel momento, dell’applauso e della mia camminata… non puoi spiegare, non riesco. Credo che tutti in quel momento, per una sinergia cosmica – noi che rivinciamo lo scudetto, io che comunque tutti sanno che me ne vado, lo festeggiamo in casa, lo stadio nuovo… ci sono state una miriade di situazioni – tutto è stato perfetto.”

Mi permetto una piccola divagazione: cosa vi siete detti prima della giocata più importante credo delle ultime giornate, cioè la tua punizione con la Lazio, quando la partita era un 1-1 scritto e avrebbe inciso molto, credo, sull’esito di quel campionato. Hai detto: “A me, la tiro io?” Perché c’era anche Andrea che poteva calciarla, inteso come Pirlo.

“Sì. Si sì, è andata così. Andrea, che si è sempre dimostrato anche su queste cose grande, ha detto: “Vai Ale”. E poi, automaticamente, siccome conosciamo il mestiere, lui mi ha “dato una mano”: “La barriera è qui, fai, mi raccomando… gira…” io sono rimasto lì sul pezzo, e ho cercato di capire come poteva entrare quella palla. Alla fine è entrata.”

Proviamo un tentativo di analisi del tuo rapporto con i tifosi, io la butto sulla fedeltà, ovvero sia, magari non sei stato il giocatore più amato dai tuoi allenatori, magari non sei stato il giocatore della Juve più amato dalla stampa, ma i tifosi, quelli che danno il giudizio che ai giocatori probabilmente interessa di più, alla fine di questo percorso hanno detto: “Grazie”. E’ la fedeltà che ha generato tutto questo?

“Anche. Anche, non solo quello. Di sicuro di storie come la mia ce ne sono attualmente molto poche, e sarà sempre più difficile che troveremo storie così con il calcio che cambia, ma questo non deve essere una critica necessariamente. Credo che invece si debbano esaltare storie come quella che ho avuto il privilegio di vivere. Io ne vado orgogliosissimo, sono  strafelice di aver passato ogni momento alla Juve, anche perché molti dei miei momenti, onestamente, sono stati bellissimi, no? E quindi credo la fedeltà sì, ma anche la coerenza, la determinazione, credo di esserci stato in tanti momenti… Io ricordo della Juventus sempre tutto col sorriso e voglio che sia così, non permetto a nessuno che cambi questa cosa, perché sarebbe irrispettoso, nei confronti miei e nei confronti di chi ha vissuto quel periodo, con tutto quello che c’è stato, anche in momenti magari bui o difficili.”

Ma in quel momento ti sei sentito quello che in Argentina si dice di Carlitos Tevez, cioè: “Il giocatore del popolo”?  In pratica: “Il vero giudizio è quello che mi date voi, io ho la sensazione di questo rapporto e che nessuno possa realmente inficiarlo”?

“Quello con i tifosi è un rapporto unico. Poi si dice sempre che io ringrazio, e per forza che ringrazio. Cosa devo fare? Questi sono momenti unici, spontanei, non sono determinati da nessuna situazione esterna, e quella è una bellezza che va oltre a tutto.”

Sappiamo che dovevi andare in prestito al Parma e che quindi avresti avuto subito almeno un’interruzione di continuità e che poi non so per quale motivo non sia andato in porto…

“Ma sì, dovevo andare dopo il primo anno di Juve, dopo aver fatto già l’esordio e i tre gol al Parma, e quindi succede che quell’estate facciamo un viaggio a Parma a vedere il figlio di Tanzi, si parla già di cifre possibili e di un mio possibile arrivo, ma nel viaggio di ritorno a Torino poi viene tutto stoppato, perché in parte della trattativa era coinvolto anche Dino Baggio che all’epoca era andato ai Mondiali, e quindi poi andò in porto la sua e non andò in porto la mia trattativa. Poi io in realtà ero talmente giovane, (e lo sono tuttora! Ride ndr) per capire che cosa fosse realmente è successo, no?”

Ma poi, nei successivi 17 anni c’è stato almeno un momento in cui hai avuto la sensazione che poteva finire lì, invece che con una fine naturale come è successo?

“Beh credo sì, credo che il 2006 sia stato un anno in quel senso decisivo. Decisivo perché si arriva alla fine di due anni con Capello che sono stati sicuramente due anni non facili e nuovi per me, dove però ho avuto un rendimento altissimo, nonostante tutto, ero stato chiamato a una nuova prova ed ero felice di averla superata così. Però quei due anni potevano far pensare a tutti, non solo a me, che probabilmente era giusto cominciare a valutare se era il caso di continuare oppure no. Però poi, alla fine di quei due anni, nell’estate del 2006, è successo “qualcosina” che ha cambiato un po’ le carte in tavola. E io sono rimasto.”

Non è che, visto che ci troviamo anche in un luogo – diciamo – atipico, dove penso non credevi di dover passare a festeggiare un compleanno fondamentale della tua vita – ma il bello è che più facciamo i piani più la vita va per conto suo…

“Sì, è vero…”

Però non è che questa idea del viaggio comincia a preoccuparti, nel senso positivo del termine, ovvero sia –  non credo che tu abbia già contratto quella tremenda sindrome che si chiama obbrobrio del domicilio, di cui io sono vittima da tempo – ma quando si comincia a viaggiare, poi, si può smettere? O sei esattamente in quel periodo in cui sei entrato in questo mondo di vedere cose nuove, conoscere persone…

“Io ci sono dentro da sempre…”

Ah, ci sei dentro da sempre!

“Se rifletto un po’ su quella che è stata la mia infanzia, già il pensare di sognare di diventare calciatore, di andare a giocare alla Juve, di affrontare un Mondiale in chissà quale Paese del mondo, già per me questo significa viaggiare, viaggiare con la fantasia, viaggiare con i sogni. Poi sono arrivati dei viaggi veri nella mia vita, cioè il viaggio San Vendemiano-Padova di trent’anni fa, 27 per l’esattezza, era un viaggio che allora sembrava lunghissimo… Stiamo parlando di 77 km… Ma era il primo vero allontanamento da casa.”

… Transiberiana…

“Sì, e per noi era una roba pazzesca! Poi una volta che ti abitui a questo arriva un altro viaggio enorme, a 18 anni, che è San Vendemiano/Padova – Torino. Cosa sono, 5 ore di macchina? Ma stiamo scherzando? Roba che … mai fatta in vita mia. E poi alla fine è arrivata Sydney.”

E poi non volevi fare il camionista?

“Sì, quello poi è in realtà… è sempre quel famoso tema delle elementari, quando la maestra mi chiede – anzi chiede alla classe – “Descrivete il lavoro che vorreste fare da grandi”. Io spontaneamente avrei voluto scrivere il calciatore, però poi penso: “No, non è il calciatore, calciatore non è un lavoro, non lo può essere!”. Allora comincio a pensare a quelli che realmente potrebbero essere i miei lavori. Non sono neanche convinto di… però dico: “Va be’, che cosa mi piace fare? L’elettricista. Mio padre fa l’elettricista, metto l’elettricista”. Poi dico: “Cos’è che mi piace tanto? Mangiare…” , allora dico: “faccio il cuoco””

Fai il cuoco per quello?

“Eh sì, perché se io imparo a cucinare, inevitabilmente mi cucino quello che voglio, quando voglio e per cui soddisfo questa mia esigenza. E l’altra e ultima, poi, un filino anche più ragionata, è il camionista. Il camionista perché mi piace, mi piaceva già all’epoca, pensare di andare a viaggiare in diversi posti. E quindi ci sono queste situazioni che si ripetono.”

Dal mio punto di vista, per la mia formazione, il viaggio verso Torino e da Torino è la tua transiberiana ma, a mio modo di vedere è più profondo, più ampio, più imprevedibile, il viaggio del figlio dell’elettricista di San Vendemiano, fino a diventare il primo ambasciatore non asiatico della prossima coppa d’Asia. Questa, secondo me, è una parabola ancora più lunga, ancora più impressionante umanamente.

“Non sbagli, dal dopo Juventus è nato un viaggio totalmente nuovo e inaspettato per me. Completamente inaspettato, sia per dove sono andato, per dove sono, e probabilmente anche per dove andrò, perché probabilmente per quanto uno possa pianificare, alla fine, più pianifichi, più vieni sorpreso, no? E quindi è un viaggio che va oltre e che, probabilmente, mi permetterà di capire cosa dovrò fare da quel giorno in poi, per quel giorno intendo il giorno in cui smetterò.”

Sonia è preoccupata?

“No…”

No? E’ una viaggiatrice anche lei?

“Sì, anche lei è una viaggiatrice, noi siamo sempre stati dei viaggiatori nelle nostre vacanze, lo continuiamo ad essere, anche nella vita.”

Ti chiedo il permesso di tornare all’elettricista di San Vendemiano perché io lo trovo una personalità affascinante. Io mi sono accorto dopo la morte di mio padre che non l’ho mai sognato in vita e lo sogno continuamente, che io voglia o non voglia, mi accorgo di quante cose faccio, penso, vorrei fare, vorrei pensare, passino attraverso di lui. A qualche anno di distanza credo tu abbia metabolizzato di non avere tuo padre più. Quanto c’è di lui, nei tuoi comportamenti, e quanto stanno arrivando con la seconda onda e non con la prima?

“Beh, sei fortunato, perché io l’ho sognato solo due volte e veramente per pochissimo tempo. Per cui mi piacerebbe essere in una posizione come la tua, mi piacerebbe capire anche dai sogni qualcosa in più, perché il nostro rapporto è stato un rapporto stranissimo. Mio padre era un uomo di pochissime parole, un gran lavoratore. E come te oggi mi ritrovo ad avere un continuo esempio della sua figura in quella che è la mia vita, di quelle che sono state scelte sue, scelte fatte con il silenzio. Comportamenti che sono di uno spessore umano oltre qualsiasi persona che io abbia conosciuto. C’è un foglio, in un armadio di casa mia, dove ci sono scritte 20 cose: cosa succederà quando avrò 10 anni, cosa succede quando ne avrò 15, eccetera. E a me succede continuamente, succede che finché c’è stato mio padre in vita non c’è mai stata l’opportunità di dirsi tutto: la timidezza c’è di mezzo, i tanti viaggi ci sono di mezzo… A volte non c’è stata l’opportunità di condividere più cose con lui, da parte mia e da parte di entrambi onestamente. E oggi invece, oggi me lo ritrovo spesso, me lo ritrovo spesso. Alla fine, riflettendo, il mio pensiero si può semplificare in questo: mi auguro che i miei figli quando avranno 40 anni o magari anche prima, pensino esattamente di me quello che io penso di mio padre.”

Quindi c’è un po’ di “le cose che non ti ho detto” che tu vorresti dire a tuo padre nella tua vita?

“Ma ce n’è una marea…Si.”

Posso capire. Ma tu sei pronto a fare il padre a tempo pieno? Dato che Ibra è pronto ed è ancora, scusami, uno dei 4-5 più determinanti, allora tu sarai prontissimo…

“Sì… A me piace. A me piace un sacco… e infatti… oggi mi mancano tanto.”

Andiamo ad un’altra persona determinante della tua vita, però, non è un essere umano, ma lo è soltanto metaforicamente. Penso che tu ed Andrea Agnelli siate innamorati della stessa donna, che è una signora attempata, gobba per di più, ma di un fascino, ovviamente, fuori dal comune. Ossia, un pochino è: “L’amiamo tutti e due, guarda, piuttosto è tua ma non farle del male”. Cioè che la Juventus sia più importante anche di quelli che l’hanno vissuta  o addirittura, di chi sia stato proprietario. E pensandolo mi è venuto in mente: “… Ma due brillanti quarantenni nei loro rispettivi momenti della vita, davanti a una boccia di – dico quello che piace a me – Sori Tildin della Gaja, due – perché ve le potete permettere – così facciamo seratona, dirvi le cose come stanno? Ammesso che non l’abbiate già fatto, perché allora non ti faccio più domande sull’argomento…

“Ma, guarda, hai detto bene. Siamo innamorati della stessa cosa, e questo ci porta ad avere un rispetto enorme nei confronti di quella cosa. E la ricordiamo e la viviamo – lui in prima persona in questo momento – in maniera importante. Io ho un viaggio diverso in questo momento e me lo voglio godere. Ma con il cuore, indubbiamente sono a strisce bianconere, no?”

Va be’ dai, però, adesso che mi rispondi così, dove è chiaramente ancora un non risolto, mi sa che quella conversazione con il Sori Tildin ancora non l’avete ancora fatta …

“No, non l’abbiamo fatta.”

Non l’avete ancora fatta. Allora però riprendo un contesto di questo tipo. Ti faccio un esempio. Beppe Bergomi, Paolo Maldini, Alessandro Del Piero. Tre grandi capitani di lunghissimo corso, che hanno smesso anche tardi nella loro carriera che è iniziata prestissimo – tutti e tre avete iniziato ad essere protagonisti abbondantemente sotto i 20 anni – e tre storie non risolte bene. Tu sei l’ultimo e quindi fai ancora in tempo, gli altri due, ormai, si vede chiaramente che ne soffrono, perché i rapporti tra la loro squadra di sempre sono o nulli o controversi.

Come si diventa scomodi nel calcio italiano, Alessandro Del Piero?

“Beh… non lo so se la fai alla persona adatta ‘sta domanda… (sorride, ndr). No, dai, sto scherzando… Io credo, indipendentemente da questo, che innanzitutto c’è una grande verità. Se io penso a Beppe Bergomi, se io penso a Paolo Maldini, penso a Inter e penso a Milan. Questo è inscindibile, è così e lo sarà per sempre, quindi, per assurdo, non hanno bisogno di riconfermarsi in quelle società. Certo, se uno si sofferma a pensare a quello che accade all’estero, suona strano. Suona strano, suona molto strano, questo è vero. E mi auguro per loro, come potrà essere per me per il futuro, che la porta magari…Cioè … è diversa la mia situazione dalla loro… mi auguro che per loro se lo vogliono che possa cambiare questa cosa, però non ce n’è bisogno: loro sono per i tifosi qualcosa di incredibilmente grande, nerazzurro e rossonero. Ma delle volte, sai, le storie d’amore si chiudono tragicamente come alcuni matrimoni.”

No, d’accordo, ma non è che poi arriva un punto in cui le società temono che i giocatori che hanno avuto un’adesione del loro pubblico assoluta, cioè, i giocatori che, come è successo nel caso di Paolo, Paolo ha giocato per il Milan, tutte le partite al 100%, Paolo non ha fatto un secondo della sua vita in cui non giocava “forte”, e tu, in un ruolo diverso secondo me, comparabilmente. Non è che una società magari ha paura che voi abbiate troppo ascendente e che possiate permettervi di derogare, per una volta, per il vostro passato, alla linea societaria, e come tale diventare scomodi?

“Può essere. E’ chiaro che può essere così, altrimenti certe situazioni, magari, si fa fatica anche a spiegare, no? Io invece credo che persone come Paolo, come Beppe, o chi spende così tanto tempo in una società, diventa proprio parte di essa e vuole solamente il suo bene, e quindi, alle qualità umane, magari a quelle tecniche si aggiungano, con il tempo, studiando, tutte le qualità per poter diventare qualcosa di incredibilmente bello, ancora una volta, per la propria società.”

Quando tu tornerai indietro però ormai il tuo inglese sarà impeccabile, comunque un ruolo manageriale ci può stare…

“Me lo auguro…”

Beh, abbiamo ancora parecchi anni…

L’Italia si sta ridiscutendo dal punto di vista istituzionale e prima o poi potrebbe venire fuori il Ministero dello Sport. Un politico che tu trovi confacente a te, ti fa una proposta: “Signor Del Piero, verrebbe a fare il Ministro dello Sport per il mio governo? I portafogli, immagino, limitato.  Ammesso e non concesso che questo mai possa succedere. Dovesse succedere, il ministro Alessandro Del Piero, con potere o di proposta o decisionale nel mondo dello sport, cosa penserebbe del nostro sport?

“Penserei che mi piacerebbe che lo sport avesse un ruolo più importante nella vita di tutti i giorni. E quindi nelle scuole… e quindi che la filosofia che sta alla base dell’attività sportiva fosse migliorata e potesse migliorare anche tramite un’educazione diversa, questo mi piacerebbe, quello sì. E che si potesse in qualche modo, lavorare più di insieme, per il mondo dello sport.”

Due anni di cultura anglosassone in Australia te l’hanno fatto vedere in un modo diverso?

“Eh, sì…”

Tanto, eh?

“Eh… sì. Sì, perché quando sei dentro, e c’ero dentro anch’io, non le vedi con gli stessi occhi le cose. Quando sei fuori… forse hai anche più tempo di riflettere.”

Voglio fare un’incursione nella tua anima baskettara che so piuttosto forte. Michael Jordan, quasi unanimemente definito il più forte giocatore di tutti i tempi, anche se non so se tu lo pensi, lo pensi?

“Sì.”

Aveva una clausola fantastica nel suo contratto, una clausola che lo definisce quasi più delle sue prodezze personali e di squadra: la clausola “Love of the Game”. Chiedeva ai Chicago Bulls di poter giocare quando lo riteneva  opportuno e sapeva lui quando come amministrarsi. Io penso che tu abbia una tua piccola clausola “Love of the Game”, e cioè che, ho conosciuto dei giocatori che mi hanno detto: “Guarda, io vado a lavorare, mi faccio la barba la mattina, piglio la macchina, vado ad allenamento, torno indietro, mi amministro, sono un professionista, ma non è che questo gioco mi entusiasmi così tanto”. Invece tu, secondo me, sei proprio uno da clausola “Love of the Game”.

“Senza ombra di dubbio. Ma non c’è neanche da pensarci. Ma non perché gioco ancora a quarant’anni, perché…  perché quando gioco… è come gioco, è quello il discorso, è come mi arrabbio, gioisco, esulto, faccio, tiro, la partecipazione che c’è, la voglia che c’è nel migliorarsi, la voglia che c’è nell’allenarsi… se dovesse mancarmi questa oggi, smetterei oggi.”

Vorrei dirvi questo. Questo signore qua, due o tre volte ha fatto delle robe che mi hanno lasciato particolarmente colpito. Il cross era quasi sempre sporco e non sul ritmo del passo dell’attaccante. Due o tre volte l’ho visto controllarla di spalla sulla corsa e mettersela nella condizione, poi, di calciare al volo. Oppure: alto controllo, ammorbidita col petto, rovesciata. Ma di che cosa stiamo parlando? Ma quali calci di punizione… la coordinazione è la base dei tuoi successi, per come ho visto quegli allenamenti. Non ci avevo mai fatto realmente caso, poi mi è venuta in mente la nefasta rovesciata col gol di Trezeguet, ultima partita che mio padre ha visto a San Siro – … grazie, volevo dirti grazie… – E’ quella la chiave dei tuoi successi sportivi dal punto di vista fisico? Questa coordinazione quasi fuori dall’ordinario?

“Credo di sì. Questo aspetto è importantissimo. Lo è stata fin da quando ero piccolo, e me la sono sempre tenuta molto, molto con me, custodita, … me ne rendevo conto che era una cosa speciale, quando mi dicevano: “tu lo sai già fare”, dicevo: “Sì…”, quindi ti senti bravo, bello, no? Poi in realtà magari è una qualità che hai, e non ne possiedi altre. Anche se la chiave di tutto credo che rimanga sempre il “Love of the Game”. L’allenamento mi è sempre servito e ho sempre cercato, tramite quello, di prepararmi bene, di usarlo per essere sempre più pronto. Se poi parliamo di quel momento, di quell’attimo, di quell’azione, di quei secondi, quando ti trovi al posto giusto nel momento giusto… lì … spesso e volentieri non mi ricordo di come ho fatto le cose, è questo il problema. Accade, e non ricordi nulla.”

Allora sei puro Zen?

“Ma credo di sì, a questo punto, (sorride, ndr) se collimano le cose, nel senso che credo che per ognuno di noi, quando si è più liberi possibile, in testa, ci si possa esprimere nella maniera migliore, questo sicuramente.”

Quindi adesso siamo arrivati al secondo segreto: coordinazione e serenità. Sono queste le due chiavi della tua capacità di stare al vertice per così tanto tempo?

“Più che serenità credo che sia quasi un vuoto mentale, un momento di sospensione di quello che c’è intorno a te, che puoi trovare anche in un momento di totale confusione o di non serenità.”

Penso che tu abbia seguito la campagna elettorale di un tuo compagno di nazionale, avversario di cento partite, Demetrio Albertini, politicamente insufficiente per poter contrastare la struttura tradizionale, diciamo l’ancien régime del calcio. E’ arrivato o arriverà il momento che i calciatori potranno avere qualcosa di più di un semplice potere consultivo e dire: “Io, presidente federale che ho vinto X scudetti, ho giocato X finali di Coppa del Mondo, sono in grado di gestire anche politicamente il sistema, senza perdere da dove vengo, cioè dal calcio, quello vero, quello che si gioca veramente”? E tu, saresti pronto?

“Io credo e spero di sì per quanto riguarda quel giorno che, una persona molto coinvolta nell’ambiente, ex calciatore all’altezza, possa prendersi quel ruolo. Platini lo è per l’UEFA, e questo mi sembra un segnale molto importante, vedo che altre federazioni adottano questa situazione, e mi auguro che possa accadere, senza nulla togliere a chi è stato o non sarà il “non-calciatore” in questione, perché… perché ci sono tanti piccoli aspetti che, effettivamente, avendo vissuto il calcio, li puoi pesare e pensare in maniera diversa.”

Quando si viene qui, dall’altra parte del mondo, anche su un caso di grande attualità per il nostro paese, com’è la questione dei marò – e sappiamo che ci sono state delle voci contrarie al tuo venire fino qua – venire a contatto con l’altro lato della storia o i diplomatici italiani che ci sono qua, è un vero e proprio allargamento di prospettive che ti dà una visione più ampia, che poi ti permetterà, quando tornerai indietro, di pensare anche da dirigente?

“Credo proprio di sì. Credo che fare esperienze nuove, se sei nello spirito giusto di poterle fare, ti possono regalare solo la possibilità di conoscere di più, allargare di più la tua mente, ed essere più pronto ad affrontare delle cose che prima le vedevi soltanto in un modo, da un punto di vista, adesso le vedi da più punti di vista, e quindi hai un quadro molto più ampio, la fotografia è molto più ampia e allarghi vedute, cioè mi auguro che anche questa esperienza, come lo è stata Sydney, possa regalare quello e questo in futuro. Per quanto riguarda i due ragazzi, i due marò … nutro troppo rispetto per la sofferenza delle famiglie soprattutto, e di loro due, per poter dare un giudizio all’altezza di questa incredibile situazione. Sono qui come ambasciatore della lega, praticante dello sport che amo, e come tale voglio viverla e non vorrei mai che lo sport portasse a una divisione o che lo sport fosse strumentalizzato in questo senso o in un altro, ma che venisse vissuto come passione. Ovvio che sono qui da italiano e mi auguro che questa vicenda possa finire il più in fretta possibile, nel migliore dei modi, per questi due ragazzi. E nel modo più giusto.”

L’ultima domanda che ti voglio fare è una domanda che è legata al luogo. In India la vita non termina mai, siamo nel luogo della circolarità, e quindi ti chiedo, proprio perché non lo è, almeno il tuo epitaffio calcistico. Come vorresti essere ricordato quando finirà questa parte del giro?

“Da piccolo volevo dimostrare che il più piccolo poteva diventare il più grande. Questo ce l’ho ancora dentro e ringrazio di avercelo ancora dentro, perché mi dà la forza di affrontare esperienze o situazioni anche più grandi di me, ma di affrontarle con una grande energia. Non so se vorrò essere ricordato così, non lo so.  In realtà penso un po’ alla fine di sedermi un po’ lontano, distaccato e, dall’alto guardare quello che accade. Quello che si dirà di me.”

Ormai siamo in zona 40, Ale, bisogna farsene una ragione…

“E non è la media punti di Michael Jordan  in gara 7, no?”